In molti casi, l’azienda agricola, al fine di migliorare il proprio posizionamento sul mercato e di incrementare la redditività interna, tenta di offrire direttamente un prodotto trasformato, andando al di là della semplice e pura produzione primaria.
Questo può succedere in svariati settori: basti pensare alla produzione di latte e successiva trasformazione in formaggio, alla vendita diretta di carne macellata in luogo della vendita dell’animale vivo da macello o, ancora, alla vendita di marmellate e succhi di frutta invece della semplice frutta fresca.
Negli anni, queste situazioni sono numericamente aumentate e sono diventate via via più frequenti.
Una problematica comune alle varie casistiche è il corretto inquadramento fiscale delle varie operazioni.
Nel tempo, gli atti normativi, la giurisprudenza e la prassi hanno dato alcune linee guida, ma, in alcuni casi, c’è ancora incertezza.
In particolare, di recente, è stata sollevata una questione riguardante la corretta aliquota IVA da applicare alla cessione di succhi di frutta.
Normalmente, per essi, si distingue la possibilità di applicazione dell’aliquota IVA più favorevole del 10% nel caso di prodotto che presenti un evidente quantitativo di polpa, mentre il 22% qualora esso risulti molto limpido.
Con due distinte risposte ad interpello, le numero 312 e 313 del 2023, però, l’Agenzia delle Entrate ha preso una posizione diversa, esplicando, in sostanza, come non sia sufficiente che il succo appaia “polposo” e non limpido per l’applicazione dell’IVA agevolata al 10%, ma occorra tenere fortemente in considerazione anche la composizione e la qualificazione merceologica del prodotto.
Se ne deduce, quindi, che il corretto inquadramento fiscale e la scelta dell’aliquota IVA adeguata per la vendita di succhi di frutta dipenda da una serie di fattori tra loro connessi e non sia una decisione semplice ed immediata.
Studio Agro-tecnico AGRIEURO
di Pasero Agr. Angelo
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